PRESENTAZIONE ALLA 2ª EDIZIONE
Il presidente statunitense Dwight Eisenhower, all’età di 64 anni, venerdì 23 settembre 1955 è colpito da un infarto miocardico mentre a Denver sta giocando a golf. All’inizio ritiene che il suo malessere sia dovuto all’hamburger mangiato a pranzo, ma una volta tornato a casa continua ad avere quei sintomi che attribuisce ad una “indigestione”; va a dormire ed intorno alle 2 a.m. si sveglia con un forte dolore al petto. La moglie, Mamie, chiama il medico personale che arriva verso le 3 del mattino. Pare che questi abbia somministrato al presidente più iniezioni di morfina, per attenuare l’intensità dei sintomi, sperando che la diagnosi fosse, appunto, un’indigestione. Eisenhower si addormenta ed un ECG è eseguito solo al suo risveglio, alle 13.00 del giorno seguente, rivelando finalmente un infarto miocardico anteriore esteso. Si decide di ricoverarlo senza chiamare un’ambulanza, cammina fino alla sua auto e viene portato al Fitzsimons Army Medical Center. Sotto una tenda ad ossigeno, Eisenhower inizia a ricevere i pochi farmaci allora disponibili per i pazienti colpiti da infarto miocardico: morfina (per il dolore), papaverina (un antispastico utilizzato nella speranza di dilatare le arterie coronarie), atropina (usato nella speranza di prevenire aritmie) e sia eparina che warfarin per ridurre i coaguli di sangue. Tutta l’America segue con apprensione le notizie sulla salute del presidente, basti pensare che lunedì 26 settembre Wall Street collassa perdendo 14 miliardi di dollari (6%); tuttavia, i cardiologi non solo assicurano che Eisenhower non muoia durante la fase acuta dell’infarto, ma lo aiutano a recuperare sufficientemente per affrontare una dura campagna di rielezione presidenziale nel 1956, durante la quale diventa uno dei presidenti più popolari nella storia degli Stati Uniti. Inoltre, vive altri 14 anni dopo il suo primo infarto, morendo all’età di 78 anni per scompenso cardiaco. Si consideri che, all’epoca, la mortalità per infarto miocardico è elevatissima, del 30-40% e tale rimane fino alla fine degli anni 70. L’armamentario terapeutico in 25 anni cambia veramente poco e, solo dopo gli anni 80, si assiste ad una svolta epocale con l’avvento dell’angioplastica coronarica, l’introduzione dei beta-bloccanti, degli antiaggreganti e fibrinolitici, l’attuazione della “medicina basata sulle evidenze” di studi clinici ed una serie incessante di nuove tecnologie che hanno portato ad una riduzione della mortalità per infarto nella fase acuta a meno del 5%. Risultati così importanti si sono analogamente riscontrati in tutti i settori della cardiologia proprio a partire da questi anni e tale rivoluzionario stravolgimento è imprescindibilmente legato allo studio dell’anatomia del cuore.
Ad ogni modo, è innegabile che l’anatomia macroscopica del cuore rappresenti un argomento ostico da apprendere e, soprattutto, da memorizzare in tutti i suoi aspetti e dettagli: conseguentemente, lo studio della materia dovrebbe essere sempre associato alla clinica per comprendere i vari rapporti tra anatomia / patologia / esami diagnostici ed interventi terapeutici.
“Anatomia clinica del cuore” giunge alla seconda edizione completamente rinnovata ed ampliata alla luce dei continui miglioramenti che stanno coinvolgendo la diagnosi ed il trattamento delle varie patologie cardiovascolari. Nel volume, con oltre 270 tra illustrazioni e tabelle, sono state focalizzate le strutture che più frequentemente sono coinvolte in processi patologici e studiate con le metodiche diagnostiche più recenti, valutando sempre i problemi clinici che richiedano la conoscenza anatomica per la diagnosi ed il trattamento. Lo studio dell’anatomia macroscopica del cuore può essere difficile e tedioso, ma l’anatomia clinica sarà sempre avvincente ed affascinante per i risultati positivi che si potranno ottenere nella cura delle malattie cardiache.
A. M. G.