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Aspetti giuridici e medico-legali della compatibilità carceraria

di L.T. Marsella, B. Cozzi, F.P. Cherra, J. Giammatteo, A.M. Faedda, M. Treglia, A. Cammarano

15.00

Al tema centrale della risoluzione di quello che viene definito come “paradosso della custodia e della cura” si aggiunge una problematica di uguaglianza sostanziale dei cittadini stigmatizzata dall’OMS con l’emanazione delle direttive “Principio di equivalenza delle cure” in cui si sancisce la necessità di garantire al detenuto le stesse cure, mediche e psico-sociali, assicurate a tutti i consociati

Descrizione

La relazione, spesso conflittuale, che intercorre tra salute e sicurezza ha imposto al legislatore ordinario di disciplinare l’esercizio di questi due diritti in modo bilanciato ed armonico, ovvero garantendo la protezione del diritto alla salute della persona in vinculis entro i confini tracciati dalle coessenziali finalità di sicurezza sociale. Il bilanciamento costante di queste due voci di diritto e di altre primarie esigenze sociali, talvolta confliggenti, non rende affatto semplice il compito del giudicante tenuto a garantire, secondo i noti principi di adeguatezza e proporzionalità della pena, la tutela della persona e quella della
collettività.

Negli ultimi decenni si è assistito ad una sempre più evidente strutturazione, a livello sovranazionale, di una rete normativa a presidio dei diritti fondamentali della persona, con evidenti ripercussioni giuridiche sull’ordinamento interno e sugli strumenti interpretativi utilizzabili dal Giudice che ormai si trova ad operare in un sistema a più livelli. Il giudicante deve difatti confrontarsi con un cosmo giuridico di sistemi tra loro interagenti e concorrenti alla salvaguardia dei diritti della persona ovvero, quello costituzionale, quello codicistico penale, quello della CEDU e quello comunitario. Lo strumento normativo si basa dunque, non più sulla gerarchia delle fonti, bensì sulla reciproca influenza di dettami giuridici, come tipicamente avviene per un “diritto complesso”.

Al tema centrale della risoluzione di quello che viene definito come “paradosso della custodia e della cura” si aggiunge una problematica di uguaglianza sostanziale dei cittadini stigmatizzata dall’OMS con l’emanazione delle direttive “Principio di equivalenza delle cure” in cui si sancisce la necessità di garantire al detenuto le stesse cure, mediche e psico-sociali, assicurate a tutti i consociati. Detta garanzia dell’equità della salute per tutti i cittadini, obbiettivo ispiratore dei Servizi Nazionali ad impronta solidaristica, deve essere affrontato in modo dinamico, con primaria e sovrana affermazione del diritto alla Salute.
In questo travagliato iter si inserisce la figura del Medico Legale tenuto ad accertare, con la massima obiettività e perizia, le condizioni cliniche del detenuto, le sue esigenze di cura e l’indicazione circa la possibilità o meno che queste possano essere assolte nel contesto detentivo. Detto giudizio di gravità viene ad assumere carattere non assoluto ma relativo, fondandosi su un rapporto di volta in volta mutevole tra condizioni individuali del condannato e possibilità di cura nell’ambiente carcerario in cui si trova ristretto.
In appendice a questa monografia, che non ha certamente la presunzione di trattare in modo esaustivo un tema così articolato ed in piena evoluzione, viene riportata la sentenza di Cassazione n 27766 del 05.06.2017 inerente la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena e, in subordine, di esecuzione della pena stessa nelle forme della detenzione domiciliare, in favore di
Totò Riina. Sul punto, il Supremo Collegio si è pronunciato con vigore a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, affinché la pena non si risolva in un trattamento inumano e degradante, in piena aderenza ai principi di cui agli art. 27, comma 3, Cost. e 3 Convenzione EDU, la valutazione in merito all’applicazione degli istituti delle pene alternative o del differimento non può e non deve limitarsi solo a quelle patologie implicanti un pericolo per la vita del detenuto, dovendo rivolgersi piuttosto ad ogni scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve
essere garantita ad ogni individuo, stigmatizzando così, le molteplici funzioni della pena e ribadendo il senso di umanità che la Carta Costituzionale e la Convenzione EDU impongono nell’esecuzione della stessa. La sopracitata Sentenza sancisce senza riserve che, al di là della gravità del reato commesso, uno Stato di diritto ha l’obbligo di assicurare a tutti gli individui le tutele
fondamentali enunciate nella Carta Costituzionale, garantendo, dunque, una morte dignitosa anche all’autore dei crimini più efferati. Il percorso motivazionale intrapreso dalla Suprema Corte, sostanzia in modo ineccepibile, i principi cardine in tema di funzione della pena, i quali risultano di basilare importanza, ai fini di un corretto esame della pronuncia nei casi di specie.

Trattasi, di quei principi sostanzialmente richiamati agli art. 3, 25 e 27 Cost., i quali giacciono anche all’interno dell’ordinamento penitenziario, espressione dell’uguaglianza formale di tutti i cittadini dinanzi alla legge, della legalità, proporzionalità e umanizzazione della pena, nonché quello della rieducazione del condannato, che si mostra fi ne ultimo di una giustizia la cui ratio si esplica non soltanto nella repressione ma, altresì, nell’irrinunciabile tentativo di reinserimento sociale del
reo.

Informazioni aggiuntive

ISBN

978-88-6515-156-3

Pubblicato

Dicembre 2019

Formato

Brossura

Pagine

41

Interno

Colori

Lingua

Italiano

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