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Sulla criminologia della guerra

di Enrico Mei

 

24.00

Il terzo volume, della Collana di Scienze Medico-Giuridiche del Prof. Enrico Mei, tratta il tema della criminologia della guerra. Argomento poco approfondito e con poca bibliografia specialistica. L’opera rompe, dunque, il silenzio e riconsegna o ricorda al lettore le ragioni e il senso della storia inondata, in passato, da fiumi di sangue innocente quando guidata da ideologie scellerate e da dittatori folli. Il libro è dedicato ai giovani perché con le loro consapevolezze venga definitivamente sotterrato il seme dell’odio e dell’indifferenza; ai nostri nonni che sopravvissero alla catastrofe e che furono in grado di donarci un lungo periodo di pace; alle vittime innocenti di tutte le guerre.

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Descrizione

Muovendo i passi dalla lezione storica e, prima ancora, dal presupposto etimologico, la guerra si disvela per l’assenza di ordine e la predilezione naturale per il caos. In questa sua iniziale dimensione, che potremmo definire letterale, il senso dell’esperienza bellica si svela e dirama nei suoi ineludibili punti focali.
Nell’analisi antropologica ove l’attività umana, le sue motivazioni e la natura delle singole scelte è messa al centro della proposta analitica, il “fenomeno guerra” viene, per così dire, sezionato, al fine di rintracciarne cause e conseguenze nei diversi ambiti di interesse: nella politica, come “soluzione finale” alla risoluzione di controversie internazionali ma, anche all’interno di più ampie e complesse cornici religiose, culturali, economiche, che permettono di elaborare una spiegazione alle motivazioni sui singoli conflitti, tutti tristemente accomunati dalle drammatiche conseguenze umanitarie seppure, talora profondamente differenti nei “moventi”.
In ambito psicologico e sociologico, vanno evidenziati i segni, spesso devastanti e più o meno visibili sul piano clinico, che connaturano ogni “evento guerra” e gettano a loro volta le basi per nuovi conflitti più o meno manifesti; in ogni caso, fondando, sulla base del conflitto stesso una nuova società, con nuove regole e nuovi valori. Infine non viene omessa un’analisi della guerra come fenomeno mediatico: inevitabilmente destinata ad
essere compressa all’interno della macchina della propaganda, la verità bellica riveste un ruolo centrale nelle politiche della notizia funzionalizzata, fungendo altresì da termometro, nella sua riflessione giornalistica, televisiva e, più in generale, culturale, di quella che è la condizione di salute del diritto all’informazione nei diversi Paesi.
Analizzando così la guerra da più punti di vista, se ne ricavano le sue caratteristiche essenziali, indispensabili per tracciare il profilo di una delle attività umane più ricorrenti nella storia, più complesse, drammatiche e difficili da cristallizzare in una omnicomprensiva dimensione definitoria.
Non sfugge infine che il rapporto tra diritto e forza ha costantemente caratterizzato le dinamiche internazionali e tra Stati.
È apparso essenziale proporre una rassegna storica dei crimini di ed in guerra, dei crimini contro l’umanità consumati dopo la stipula di Convenzioni Internazionali, purtroppo puntualmente o sistematicamente disattese, calpestate od, ancora neanche oggetto di formale adesione da parte di alcuni Stati, nel corso del XX e del XXI secolo. È un capitolo buio, straziante e commovente se il lettore si confronta emotivamente anche
solo con gli scarni numeri che resocontano sulle vittime innocenti dei conflitti. Non si stila una gerarchia dei peggiori, purtroppo si prende atto che tutte le Potenze, i “Buoni” ed i “Cattivi”, si macchiarono di delitti efferati, di atrocità, di barbarie, di stragi apparentemente inutili, in un contesto di apparente follia collettiva, in realtà spesso lucida e consapevole, volta ad umiliare, sottomettere, financo ad annientare un’ umanità dipinta come
diversa e, soprattutto artificiosamente catalogata come nemica perché prefigurata e poi percepita, dai popoli indottrinati come pericolosa per la propria sopravvivenza ovvero inferiore, insignificante, inutile. Non è un caso che Goebbels viene considerato maestro della propaganda politica: aveva imparato dalla macchina fascista, dal cinema di regime; sappiamo cosa riuscì a fare in Germania, ma poi tutti e presto, impararono la lezione.
Ci si continua a chiedere del perché l’essere umano, secondo alcuni destinato ad essere buono, secondo altri, francamente proiettato o inducibile alla malvagità, possa avere consumato, in guerra ed in nome della stessa, condotte irripetibili, in spregio a qualsiasi paradigma morale, a qualsiasi norma del diritto, naturale o positivo, talora impegnandosi a realizzare una strategia ed un’opera, articolata e sistematica di distruzione del proprio simile, di popoli, etnie, gruppi improvvisamente deumanizzati, demonizzati, biologizzati, animalizzati, meccanizzati.
La psicopatologia clinica è di poco conforto, perché non spiega l’enormità dei crimini della guerra nella sua drammatica espressività antropologica ed in talune sue estreme manifestazioni quali-quantitative. Certo è che gli psicopatici, i disaffettivi o meglio l’umanità irrisolta e non necessariamente psicotica seppure semplicemente priva di empatia, ha fornito un formidabile contributo per rendere più esecrabili i delitti suggeriti e poi freddamente consumati. Pensiamo alla gratuita violenza, alla ferocia dei sorveglianti dei Lager, alla spietata determinazione omicida di tanti reparti militari in operazioni belliche.
In realtà non può sfuggire come i governanti e il potere di pochi abbiano guidato le persone e i cittadini (contadini, operari, intellettuali, padri, madri, figli), divenuti soldati, alla guerra totale, contribuendo a trasformarli, spesso in aguzzini ed assassini, non di rado attraverso anche messaggi vaghi o subdoli dei militari superiori in grado, oppure attraverso una spettacolarizzazione mediatica, incessante e pervasiva, della propaganda di Stato, tesa a svilire ed odiare l’avversario.
Homo homini lupus è espressione che non può che associarsi, in definitiva, alla disarmante ultima ipotesi esemplificativa della “banalità del male”. Dunque anche i buoni diventano cattivi, così come teoricamente ha preconizzato la spinta aggregante e perversa della teoria delle associazioni differenziali, tanto cara a Sutherland.
Viene ancora esaminata la concezione moderna della guerra come “ultima spiaggia”, non trascurando l’analisi del pensiero filosofico sulla guerra emergente nel corso della storia dell’homo sapiens, a partire dai classici greci e dal pensiero ebraico, compreso il rapporto dei primi con la natura e dei secondi con Dio. A seguire, si è approfondito il pensiero filosofico-politico nel Rinascimento italiano ed europeo, secondo le idee di Machiavelli, Hobbes, Pascal e Locke: la guerra si prefigura strumento essenziale al servizio del potere e della stabilità nazionale. Infine, vengono segnalati i poli opposti in cui il pensiero filosofico si divarica tra Ottocento e Novecento: dal personalismo patriottico di Napoleone alla dottrina comunista elaborata da Marx ed Engels, fino alla filosofia della non violenza di Gandhi.
Al diritto internazionale è dedicato l’ultimo ed essenziale capitolo: si evince che, prima che si giungesse all’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) il 24 ottobre del 1945, la Comunità internazionale, in ragione dell’eredità lasciata dalla pace di Westfalia (24 ottobre 1648) che legittimava la forza e la sua minaccia, ancora non ripudiava il ricorso all’uso della forza armata. La scelta di vietare l’uso e la minaccia della forza delegittimando il c.d. ius ad bellum venne adottata in risposta alle conseguenze derivanti dal secondo conflitto mondiale e alle dinamiche belliche che lo avevano contraddistinto.
La volontà di «salvare le future generazioni dal flagello della guerra»1 ha indotto la Comunità internazionale a circoscrivere l’uso della forza armata alla necessità di agire in autotutela o in applicazione del sistema di sicurezza collettiva dell’ONU. Chiaramente si tratta di istituti che, pur prevedendo la possibilità di poter ricorrere all’uso della forza al verificarsi di specifici presupposti, si rivelano funzionali al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale quale finalità prioritaria delle Nazioni Unite.
Tuttavia, la consapevolezza di come la guerra non possa più essere considerata come uno strumento lecito nelle relazioni internazionali, non comporta l’assenza della guerra stessa. Infatti, la perdurante presenza di conflitti di carattere internazionale e non internazionale impone la necessità di una regolamentazione a cui oggi fornisce risposta il diritto internazionale umanitario.
Tale ramo del diritto internazionale pubblico, oggi rappresentato principalmente dal corpus ginevrino del 1949 e dai Protocolli aggiuntivi, regolamenta il c.d. ius in bello stabilendo regole ed enunciando principi posti alla base della condotta delle ostilità e dalla cui violazione discendono i crimini di guerra.
Siffatta tipologia di crimine rientra, oggi, nella competenza della Corte penale internazionale quale autorità giudicante posta a presidio del diritto internazionale penale.
Quest’ultimo risponde a quell’istanza di giustizia che la Comunità internazionale aveva tentato di soddisfare, dapprima, con i Tribunali miliari internazionali di Norimberga e di Tokyo e, in seguito, con i Tribunali ad hoc per l’ex-Jugoslavia e per il Ruanda. In particolare, la Corte esercita la sua giurisdizione permanente sui crimina iuris gentium rappresentati dal genocidio, dai crimini di guerra, dai crimini contro l’umanità e  dall’aggressione intervenendo in chiave giurisprudenziale su fattispecie che hanno sempre contraddistinto il panorama internazionale come, a titolo esemplificativo, il crimine di guerra rappresentato dalla distruzione del patrimonio culturale.
Il diritto internazionale umanitario ed il diritto internazionale penale agiscono, dunque, in chiave preventiva e repressiva rispetto al verificarsi di eventi bellici e alla commissione di crimini internazionali ma l’intervento del diritto internazionale pubblico, per una regolamentazione giuridica che possa circoscrivere maggiormente e con più accuratezza l’uso e la minaccia della forza, rivolge lo sguardo anche alla disciplina del disarmo.
In particolare l’elaborazione e il consolidamento di principi e convenzioni concernenti il disarmo e la disciplina degli armamenti che, peraltro, dialogano ed interagiscono con i principi e le convenzioni di diritto internazionale umanitario (ius in bello), dimostrano la volontà di voler preservare la pace e la sicurezza internazionale considerando il ricorso alla proliferazione di armi nucleari, chimiche e biologiche come una vera e propria minaccia ed ostacolo all’obiettivo del disarmo multilaterale.

Prof. Dott. Enrico Mei
Ordinario di Medicina Legale

Informazioni aggiuntive

ISBN

978-88-6515-20-89

Pubblicato

Aprile 2023

Formato

Brossura

Pagine

198

Interno

Bianco e nero

Lingua

Italiano

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